Ho scorso il mio Flickr dopo anni che non lo aprivo e tra le prime foto, nel gennaio 2007, avevo caricato questa, fatta col mio primo telefono con una fotocamera. Si vede, male, Paolo Benvegnù in concerto al teatro di Monte San Savino (AR). Era uno dei suoi primi concerti a cui andavo, forse addirittura il primo. Ricordo un senso di pace nell’uscire da quel teatro, e l’attesa per aspettarlo uscire fuori dopo il concerto per qualche chiacchiera.
Paolo Benvegnù in concerto a Monte San Savino, gennaio 2007
Qualche anno dopo nel 2010, quando invece andavo ai concerti con la macchina fotografica perché “I nati nell’86 hanno reflex digitali mettono su Flickr belle foto in bianco e nero”, avevo scattato questa a Siena. Era estate qua, e aveva fatto un concerto duettando con Moltheni, uno da spalla all’altro. Non eravamo molti in quella piazza.
Paolo Benvegnù in concerto a Siena, agosto 2010.
Guardando questo foto ho improvvisamente pensato di essere stato fortunato per aver avuto la possibilità di vederlo, sentirlo, e di aver goduto della sua musica tante altre volte, coi cd consumati, gli mp3 in rotazione, gli streaming in loop, e i concerti ogni volta che era possibile, fino all’ultimo concerto visto lo scorso novembre. Forse solo adesso sto prendendo coscienza di quanto mi mancherà andare a un suo concerto, aspettare un suo disco, sapere che sta lavorando per sorprendermi, e sorprenderci.
Paolo Benvegnù in concerto a Roma, novembre 2024.
Nella stessa galleria stava pure questa foto di un concerto degli Offlaga Disco Pax nel luglio 2006, penso a Poggibonsi. Sempre lo stesso telefono, la stessa foto brutta di un momento bello. Valgono le stesse cose. Vederli il prossimo aprile sarà bellissimo, e doloroso allo stesso tempo. Non so se farò foto. O forse sì.
Offlaga Disco Pax in concerto a Poggibonsi, luglio 2006.
[Ripubblico qua in ritardo il mio Post sotto l’albero del ventennale, grazie a Sir Squonk per questa botta di nostalgia, nemmeno me lo ricordavo più come si faceva]
Guardavo quella lineetta rossa apparire, un’ombra che si intensifica nel giro di qualche minuto. Già stavo facendo i calcoli: ok, ho dieci giorni per rimettermi e non perdermi il Natale. Certo, tutti ormai fanno finta di niente, la voglia di lasciarsi dietro gli ultimi anni è forte, un buco temporale fatto di paura, distanze, morti. Non che adesso non si muoia, o non ci sia paura, magari di altro tipo, bombe che cadono, armi che sparano, ma pure siccità, carestie, alluvioni e trombe d’aria. E alla fine che si creda o no, il Natale serve a questo, a stringerci insieme, a ricordarti di chi vuoi bene, ma anche di chi ti sta sul cazzo, ma alla fine siamo tutti qua, varia umanità che cerca di andare avanti. I giorni rimanevano sette, e la linea rossa era sempre lì, me lo sentivo, era andato tutto troppo liscio, passato indenne dalla peste dell’ufficio che ha messo a letto un buon numero di colleghi, dalla festa aziendale, dalla metro piena al mattino. Dev’essere stata sicuramente colpa di quelle due ore chiuso in una stanza buia e senza finestre con altre quattro persone a guardare attimi che appaiono su carta. Che poi quest’anno ho pure comprato i regali, non mi presenterei nemmeno a mani vuote come gli altri anni. Mi dispiacerebbe portarli in ritardo, mi dispiacerebbe non passare questi pochi giorni nel luogo che continuo a sentire come casa.
Se c’è una cosa che ho imparato in questo ultimo anno, sì sono pure in vena di analisi sull’anno che sta per finire, è a provare di non fare finta di niente nei confronti delle mie emozioni, e provare a sentirle veramente, dopo tanto passarci sopra senza pensarci. Ancora non sono molto bravo invece a parlarne poi, ma insomma stiamo lavorando per voi. E quindi eccomi qua che passo dalla tristezza, alla rabbia, e alla rassegnazione, di chi deve stare chiuso in casa, nemmeno in camera, che poi ci metto pure il senso di colpa nel caso dovessi passare il morbo ai miei coinquilini senza colpe. La speranza si riaccende ai meno cinque, quando vedo comparire più lentamente quel segno, è anche più chiaro e flebile. Un po’ di gioia e trepidazione emerge, forse ce la posso fare. Il senso di colpa rimane per perdermi questi ultimi giorni in cui avevo programmato cene, concerti, ma soprattutto del tempo da passare con la persona che mi ha reso più felice in questo anno (sempre per quella cosa dei bilanci e delle emozioni). Uno strappo però lo faccio per vederla un poco, a distanza, all’aperto, uno scambio di regali, leggere i biglietti che ci siamo scritti, la tentazione di avvicinarci.
I film di Natale ci piacciono per questo, per la loro prevedibilità, per lo scontato lieto fine, per i buoni sentimenti, e per farci sentire tutti un po’ migliori di quello che siamo, lasciandoci vedere quello che potremmo essere con un po’ di impegno. E quindi come in un piccolo miracolo natalizio, eccomi qua a guardare uno spazio bianco, candido come la neve, senza quel tratto rosso sangue. La gioia quasi incredula, la corsa per fare la valigia, un’ultima mail inviata prima dell’out-of-office, e incamminandomi con la valigia del piccolo emigrante che torna. Eccomi qua su un autobus semivuoto, sento la tensione che scende, l’ansia che diminuisce. Adesso in un film di Natale su Canale 5 ci sarebbe la scena finale, gli abbracci sotto l’albero, la neve che scende, bambini che scartano regali, risate e gioia. Ma purtroppo non siamo in un film, l’autobus prende una buca che mi fa risvegliare, la mia attenzione va al telefono ed ecco ancora bombe che sono cadute, e mi sento in colpa per questo attimo di felicità.
Un tempo ormai lontano accadeva che sotto Natale Sir Squonk faceva uscire il Post Sotto l’Albero (PSlA), una raccolta di post a tema natalizio di vari blogger. Qualche anno dopo Marco si mise a organizzare reading, e quindi accadeva di ritrovarsi in giro a leggere cose scritte, come le Schegge di Liberazione.
E quindi eccoci a Natale 2020, 10 anni dopo l’ultimo PSlA, Marco mi scrive chiedendomi se avevo voglia di leggere il mio PSlA del 2009 e mandargli una registrazione. E nonostante il mio odio verso la mia voce registrata, era impossibile dire di no.
A Natale quest’anno su Radio Sverso (grazie Benty) va in onda il Post Sotto la Radio. Venerdì 25 dicembre alle 18, e sabato 26 dicembrealle 11 in replica su Radio Sverso tornano i Post Sotto l’Albero, i blogger, lo Spirito del 2010. Qua Marco spiega tutto per bene.
Buon Natale! E che il 2021 possa essere un anno con più reading, più concerti, più persone vicine.
Ahí la tiene Maradona, lo marcan dos, pisa la pelota Maradona, arranca por la derecha el genio del fútbol mundial, deja al tercero y va a tocar para Burruchaga… ¡Siempre Maradona! ¡Genio! ¡Genio! ¡Genio! Ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta… Gooooool… Gooooool… ¡Quiero llorar! ¡Dios Santo, viva el fútbol! ¡Golaaazooo! ¡Diegoooool! ¡Maradona! Es para llorar, perdónenme… Maradona, en una corrida memorable, en la jugada de todos los tiempos… Barrilete cósmico… ¿De qué planeta viniste para dejar en el camino a tanto inglés, para que el país sea un puño apretado gritando por Argentina? Argentina 2 – Inglaterra 0. Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona… Gracias Dios, por el fútbol, por Maradona, por estas lágrimas, por este Argentina 2 – Inglaterra 0.
Victor Hugo Morales, 22 Giugno 1986, Argentina 2 – Inghilterra 1
Top 5 di cose che farò appena tutto questo sarà passato e torneremo alla normalità (quale sarà questa normalità non lo so, lo scopriremo):
5. Andare al bar a fare colazione 4. Fare lunghissime passeggiate e perdermi in giro 3. Andare a un concerto 2. Prendere un treno e andare in un’altra città 1. Abbracciare e baciare le persone a cui voglio bene
(Sì, ieri ho iniziato a vedere la serie di Alta Fedeltà e adesso sono nella fase scrivere Top 5 sulla qualunque, e ho pure voglia di rileggere il libro)
You know what kind of plan never fails? No plan. No plan at all. You know why? Because life cannot be planned.
Parasite, Boong Joon-ho
Più o meno sono arrivato fin qua senza un piano preciso, il mio piano per il futuro è di continuare così. Con tanti buoni propositi da non soddisfare, e molte cose inaspettate da prendere (nel bene e nel male).
Boca, boca de mi vida, vos sos la alegría de mi corazón saben todo lo que siento te llevo acá dentro de mi corazón
Coro dei tifosi del Boca Juniors
La Bombonera (Garbatella, 2019)
Dietro casa c’è questo cortile dove da quando c’è bel tempo ci sono sempre dei ragazzini a giocare a pallone. Il cortile è sterrato, con degli alberi ai margini. Qualcuno ha posizionato due di quelle transenne alte come porte, e in effetti sembrano proprio due porte da calcetto, anche se più strette. E fin qua sarebbe tutto molto normale, il calcio nei cortili, anche se sempre più raro (o almeno questo è il luogo comune) esiste da sempre.
Quello che mi incuriosisce invece è perché quei ragazzi, volendo abbellire le loro porte, hanno scritto in giallo e blu BOCA . J (con il punto proprio) sulle reti, trasformando definitivamente quelle transenne e quel cortile sterrato in uno stadio, e creando di fatto una piccola Bombonera in mezzo a Garbatella.
E tutti i giorni li vedo camminando verso casa, con la polvere che si alza dallo sterrato duro, il pallone di cuoio rovinato dal tanto uso, e l’esultanza per ogni gol come fosse la finale dei mondiali, o un superclásico. Mentre, all’angolo destro del cortile quattro signore anziane fanno da spettatrici, sedute su delle sedie che starebbero tanto bene in un locale hipster. E lo sento passando quel coro, o forse è solo la mia immaginazione, che ti vien voglia di cantare e poi non smetti più: “Boca, boca de mi vida…”
Da quando lavoro a Roma, cioè due mesi e mezzo, ogni mattina quando vado a lavoro e ogni pomeriggio quando torno a casa, passo davanti a un torracchione alto, con delle belle aiuole intorno, un’inferriata alta, e un grande parcheggio. E ogni mattina e ogni pomeriggio mi viene sempre da pensare a Tacconi Otello.
“Quassù io ero venuto non per far crescere le medie e i bisogni, ma per distruggere il torracchione di vetro e cemento, con tutte le umane relazioni che ci stanno dentro. Mi ci aveva mandato Tacconi Otello, oggi stradino per conto della provincia, con una missione ben precisa, tanto precisa che non occorse nemmeno dirmela. E se ora ritorno al mio paese, e ci incontro Tacconi Otello, che cosa gli dico? Sono certo che nemmeno stavolta lui dirà niente, ma quel che gli leggerò negli occhi lo so fin da ora. E io che cosa posso rispondergli? Posso dirgli, guarda, Tacconi, lassù mi hanno ridotto che a fatica mi difendo, lassù se caschi per terra nessuno ti raccatta, e la forza che ho mi basta appena per non farmi mangiare dalle formiche, e se riesco a campare, credi pure che la vita è agra, lassù.”
La scatola dei ricordi è quella scatola che di norma sta chiusa in qualche posto lontano, in un ripiano nascosto, dentro un armadio chiuso, ma che spunta fuori quando pulisci, quando decidi di riordinare, quando traslochi.
Dentro ci sono in media, non una, non due, ma diciamo almeno tre vite passate. E spuntano fuori degli oggetti apparentemente inutili: una forchetta di plastica trasparente di un picnic di 10 fa, biglietti scritti fitti, cartoline, fototessere, polaroid, disegni, braccialetti rotti, fiori secchi, sassi, articoli di giornale ritagliati, biglietti di concerti, di mostre, di autobus, treni, aerei, traghetti.
La scatola è piena, per chiuderla devo spingere il coperchio forte e usare del nastro adesivo. Adesso la metto qua, accanto ai quadri che ho staccato dal muro, vicino ai libri e ai vestiti da mettere da qualche parte per poterli portare via. Le faccio prendere un po’ d’aria prima di spostarla in un altro armadio, in un’altra casa, in un’altra città; prima di riempirne altre e di riaprirle quando pulirò, riordinerò o traslocherò, alla faccia di Marie Kondo.
Oggi sono entrato in edicola. Era parecchio tempo che non lo facevo. Ho comprato un quotidiano di carta, anche questa cosa era parecchio tempo che non la facevo, sicuramente mesi, forse anni. E lì, mentre prendevo la mia copia sottobraccio mi sono ricordato di un tempo tanti anni fa in cui per me il sabato e la domenica mattina era uscire di casa e andare in edicola. Comprare almeno due quotidiani, a volte tre; girovagare per l’edicola del paese, sfogliare le riviste, i fumetti, scegliere cosa comprare, chiedere se era uscito il nuovo numero di Dylan Dog o Nathan Never o altro.
Ci andavo in bicicletta prima, spesso, probabilmente quasi tutti i giorni, ma i giornali erano per lo più cosa del sabato e della domenica, gli altri giorni erano fumetti, riviste, figurine. Poi ci sarò andato in motorino sicuramente per un periodo, ma più di rado, che già frequentavo meno il paese, ma il fine settimana sicuro che ci andavo. Mi ci sarò pure fermato in macchina lì a fianco, magari lasciando la macchina con le quattro frecce e facendo veloce. E poi ho smesso, chissà come mai? Internet probabilmente, leggere i giornali online, trovare meno stimoli in quei fogli di carta con le notizie del giorno prima.
L’edicola vendeva anche cartoleria e ninnoli vari, dai casalinghi alle brutte cornici d’argento; a un certo punto misero pure il videonoleggio. Quando ci sono passato davanti solo un paio di settimane fa, lì in mezzo al paese lungo la via principale, ho visto quel negozio chiuso, vuoto. È così da mesi, forse anni, che in fondo io quant’è che non ci entravo prima che chiudesse? E l’unica edicola rimasta adesso in paese è un bugigattolo piccolo, che fa tristezza solo a passarci davanti, con le riviste con le copertine sbiadite dal troppo attendere che qualcuno le compri.
Oggi sono entrato in edicola. Ho sfogliato qualche rivista, guardato le ultime uscite dei fumetti, comprato un quotidiano di carta e mi è piaciuto.
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