Una sottile linea rossa

[Ripubblico qua in ritardo il mio Post sotto l’albero del ventennale, grazie a Sir Squonk per questa botta di nostalgia, nemmeno me lo ricordavo più come si faceva]

Guardavo quella lineetta rossa apparire, un’ombra che si intensifica nel giro di qualche minuto. Già stavo facendo i calcoli: ok, ho dieci giorni per rimettermi e non perdermi il Natale. Certo, tutti ormai fanno finta di niente, la voglia di lasciarsi dietro gli ultimi anni è forte, un buco temporale fatto di paura, distanze, morti. Non che adesso non si muoia, o non ci sia paura, magari di altro tipo, bombe che cadono, armi che sparano, ma pure siccità, carestie, alluvioni e trombe d’aria. E alla fine che si creda o no, il Natale serve a questo, a stringerci insieme, a ricordarti di chi vuoi bene, ma anche di chi ti sta sul cazzo, ma alla fine siamo tutti qua, varia umanità che cerca di andare avanti. I giorni rimanevano sette, e la linea rossa era sempre lì, me lo sentivo, era andato tutto troppo liscio, passato indenne dalla peste dell’ufficio che ha messo a letto un buon numero di colleghi, dalla festa aziendale, dalla metro piena al mattino. Dev’essere stata sicuramente colpa di quelle due ore chiuso in una stanza buia e senza finestre con altre quattro persone a guardare attimi che appaiono su carta. Che poi quest’anno ho pure comprato i regali, non mi presenterei nemmeno a mani vuote come gli altri anni. Mi dispiacerebbe portarli in ritardo, mi dispiacerebbe non passare questi pochi giorni nel luogo che continuo a sentire come casa.

Se c’è una cosa che ho imparato in questo ultimo anno, sì sono pure in vena di analisi sull’anno che sta per finire, è a provare di non fare finta di niente nei confronti delle mie emozioni, e provare a sentirle veramente, dopo tanto passarci sopra senza pensarci. Ancora non sono molto bravo invece a parlarne poi, ma insomma stiamo lavorando per voi. E quindi eccomi qua che passo dalla tristezza, alla rabbia, e alla rassegnazione, di chi deve stare chiuso in casa, nemmeno in camera, che poi ci metto pure il senso di colpa nel caso dovessi passare il morbo ai miei coinquilini senza colpe. La speranza si riaccende ai meno cinque, quando vedo comparire più lentamente quel segno, è anche più chiaro e flebile. Un po’ di gioia e trepidazione emerge, forse ce la posso fare. Il senso di colpa rimane per perdermi questi ultimi giorni in cui avevo programmato cene, concerti, ma soprattutto del tempo da passare con la persona che mi ha reso più felice in questo anno (sempre per quella cosa dei bilanci e delle emozioni). Uno strappo però lo faccio per vederla un poco, a distanza, all’aperto, uno scambio di regali, leggere i biglietti che ci siamo scritti, la tentazione di avvicinarci. 

I film di Natale ci piacciono per questo, per la loro prevedibilità, per lo scontato lieto fine, per i buoni sentimenti, e per farci sentire tutti un po’ migliori di quello che siamo, lasciandoci vedere quello che potremmo essere con un po’ di impegno. E quindi come in un piccolo miracolo natalizio,  eccomi qua a guardare uno spazio bianco, candido come la neve, senza quel tratto rosso sangue. La gioia quasi incredula, la corsa per fare la valigia, un’ultima mail inviata prima dell’out-of-office, e incamminandomi con la valigia del piccolo emigrante che torna. Eccomi qua su un autobus semivuoto, sento la tensione che scende, l’ansia che diminuisce. Adesso in un film di Natale su Canale 5 ci sarebbe la scena finale, gli abbracci sotto l’albero, la neve che scende, bambini che scartano regali, risate e gioia. Ma purtroppo non siamo in un film, l’autobus prende una buca che mi fa risvegliare, la mia attenzione va al telefono ed ecco ancora bombe che sono cadute, e mi sento in colpa per questo attimo di felicità. 

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