Ad annunciare che questo blog adesso è pure una newsletter mi sento molto come i meme su Internet Explorer. Comunque dicevo, per la gioia dei miei 25 lettori (ma magari) vi potete iscrivere qua sotto o nella pagina dedicata qua.
Per ogni nuovo post pubblicato vi arriverà una mail direttamente nella vostra casella di posta. Giuro che non vi arriveranno molte mail, non vi spammerò e non userò i vostri dati per scopi commerciali, lucro, o per venderli al mercato nero.
Dopo anni di social network, di attenzione polverizzata dagli algoritmi, di scrolling infinito, “content” virali e dipendenza dal rush dopaminico dall’ennesimo reel di vita lenta™, ho bisogno di riprendermi uno spazio da ricostruire, abitare e vivere in maniera più pensata, fuori dall’infinito presente delle nostre bolle.
Riconquistare e ricostruire spazi, fisici e digitali, è un’azione essenziale per provare a immaginare futuri alternativi a quello che abbiamo di fronte. Manca, certo, una dimensione collettiva, nonostante l’idea utopica della rete ce l’avesse lasciata immaginare e sognare per un poco, prima di rinchiuderci nei giardini delle piattaforme. Anche per questo motivo ho preferito non usare quelle piattaforme, ma cercare di avere uno spazio autonomo e mio.
Per chi già era qua: bentrovatƏ. Per chi arriva: benvenutƏ.
Ieri sera sono andato a un concerto degli Offlaga Disco Pax e, come se fossimo ancora nel 2006, ho deciso di scriverne un post sul mio blog. Tra l’altro, considerando la sua prima incarnazione splinderiana, quest’anno compie vent’anni [edit: ventuno, era il maggio 2004], proprio come Socialismo Tascabile .
Dicevo, ieri sera ho visto gli Offlaga Disco Pax. Durante Onomastica, Max Collini ha tirato fuori un elenco telefonico e l’ha sventolato verso il pubblico, con tutti quei nomi di ogni specie futuribile. Da quanto tempo non ne vedete uno? Mi ha fatto un effetto straniante, come se fosse spuntato da un’altra dimensione spazio-temporale, come se venisse da un’altra epoca, come quando visitando un museo archeologico guardi un qualche utensile etrusco.
Pensa spiegarlo a qualcuno della Gen Alpha: un tempo esistevano dei libri, veri e propri tomi, che riportavano i numeri di telefono e gli indirizzi di tutte le persone che abitavano in una città. Se volevi trovare qualcuno, bastava cercare il cognome e il nome, leggere l’indirizzo e segnarti il numero. C’era un’epoca in cui da adolescenti si andava nelle cabine telefoniche (un altro artefatto che oggi pare provenire da un altro mondo) per fare scherzi chiamando perfetti sconosciuti.
Chissà se esiste, da qualche parte, una biblioteca o un archivio degli elenchi telefonici. Se qualcuno si è preso la briga di conservarne almeno una parte. In fondo, sono dei libri pieni di storie, come quei nomi cantati dagli Offlaga.
Ho scorso il mio Flickr dopo anni che non lo aprivo e tra le prime foto, nel gennaio 2007, avevo caricato questa, fatta col mio primo telefono con una fotocamera. Si vede, male, Paolo Benvegnù in concerto al teatro di Monte San Savino (AR). Era uno dei suoi primi concerti a cui andavo, forse addirittura il primo. Ricordo un senso di pace nell’uscire da quel teatro, e l’attesa per aspettarlo uscire fuori dopo il concerto per qualche chiacchiera.
Paolo Benvegnù in concerto a Monte San Savino, gennaio 2007
Qualche anno dopo nel 2010, quando invece andavo ai concerti con la macchina fotografica perché “I nati nell’86 hanno reflex digitali mettono su Flickr belle foto in bianco e nero”, avevo scattato questa a Siena. Era estate qua, e aveva fatto un concerto duettando con Moltheni, uno da spalla all’altro. Non eravamo molti in quella piazza.
Paolo Benvegnù in concerto a Siena, agosto 2010.
Guardando questo foto ho improvvisamente pensato di essere stato fortunato per aver avuto la possibilità di vederlo, sentirlo, e di aver goduto della sua musica tante altre volte, coi cd consumati, gli mp3 in rotazione, gli streaming in loop, e i concerti ogni volta che era possibile, fino all’ultimo concerto visto lo scorso novembre. Forse solo adesso sto prendendo coscienza di quanto mi mancherà andare a un suo concerto, aspettare un suo disco, sapere che sta lavorando per sorprendermi, e sorprenderci.
Paolo Benvegnù in concerto a Roma, novembre 2024.
Nella stessa galleria stava pure questa foto di un concerto degli Offlaga Disco Pax nel luglio 2006, penso a Poggibonsi. Sempre lo stesso telefono, la stessa foto brutta di un momento bello. Valgono le stesse cose. Vederli il prossimo aprile sarà bellissimo, e doloroso allo stesso tempo. Non so se farò foto. O forse sì.
Offlaga Disco Pax in concerto a Poggibonsi, luglio 2006.
[Ripubblico qua in ritardo il mio Post sotto l’albero del ventennale, grazie a Sir Squonk per questa botta di nostalgia, nemmeno me lo ricordavo più come si faceva]
Guardavo quella lineetta rossa apparire, un’ombra che si intensifica nel giro di qualche minuto. Già stavo facendo i calcoli: ok, ho dieci giorni per rimettermi e non perdermi il Natale. Certo, tutti ormai fanno finta di niente, la voglia di lasciarsi dietro gli ultimi anni è forte, un buco temporale fatto di paura, distanze, morti. Non che adesso non si muoia, o non ci sia paura, magari di altro tipo, bombe che cadono, armi che sparano, ma pure siccità, carestie, alluvioni e trombe d’aria. E alla fine che si creda o no, il Natale serve a questo, a stringerci insieme, a ricordarti di chi vuoi bene, ma anche di chi ti sta sul cazzo, ma alla fine siamo tutti qua, varia umanità che cerca di andare avanti. I giorni rimanevano sette, e la linea rossa era sempre lì, me lo sentivo, era andato tutto troppo liscio, passato indenne dalla peste dell’ufficio che ha messo a letto un buon numero di colleghi, dalla festa aziendale, dalla metro piena al mattino. Dev’essere stata sicuramente colpa di quelle due ore chiuso in una stanza buia e senza finestre con altre quattro persone a guardare attimi che appaiono su carta. Che poi quest’anno ho pure comprato i regali, non mi presenterei nemmeno a mani vuote come gli altri anni. Mi dispiacerebbe portarli in ritardo, mi dispiacerebbe non passare questi pochi giorni nel luogo che continuo a sentire come casa.
Se c’è una cosa che ho imparato in questo ultimo anno, sì sono pure in vena di analisi sull’anno che sta per finire, è a provare di non fare finta di niente nei confronti delle mie emozioni, e provare a sentirle veramente, dopo tanto passarci sopra senza pensarci. Ancora non sono molto bravo invece a parlarne poi, ma insomma stiamo lavorando per voi. E quindi eccomi qua che passo dalla tristezza, alla rabbia, e alla rassegnazione, di chi deve stare chiuso in casa, nemmeno in camera, che poi ci metto pure il senso di colpa nel caso dovessi passare il morbo ai miei coinquilini senza colpe. La speranza si riaccende ai meno cinque, quando vedo comparire più lentamente quel segno, è anche più chiaro e flebile. Un po’ di gioia e trepidazione emerge, forse ce la posso fare. Il senso di colpa rimane per perdermi questi ultimi giorni in cui avevo programmato cene, concerti, ma soprattutto del tempo da passare con la persona che mi ha reso più felice in questo anno (sempre per quella cosa dei bilanci e delle emozioni). Uno strappo però lo faccio per vederla un poco, a distanza, all’aperto, uno scambio di regali, leggere i biglietti che ci siamo scritti, la tentazione di avvicinarci.
I film di Natale ci piacciono per questo, per la loro prevedibilità, per lo scontato lieto fine, per i buoni sentimenti, e per farci sentire tutti un po’ migliori di quello che siamo, lasciandoci vedere quello che potremmo essere con un po’ di impegno. E quindi come in un piccolo miracolo natalizio, eccomi qua a guardare uno spazio bianco, candido come la neve, senza quel tratto rosso sangue. La gioia quasi incredula, la corsa per fare la valigia, un’ultima mail inviata prima dell’out-of-office, e incamminandomi con la valigia del piccolo emigrante che torna. Eccomi qua su un autobus semivuoto, sento la tensione che scende, l’ansia che diminuisce. Adesso in un film di Natale su Canale 5 ci sarebbe la scena finale, gli abbracci sotto l’albero, la neve che scende, bambini che scartano regali, risate e gioia. Ma purtroppo non siamo in un film, l’autobus prende una buca che mi fa risvegliare, la mia attenzione va al telefono ed ecco ancora bombe che sono cadute, e mi sento in colpa per questo attimo di felicità.
Un tempo ormai lontano accadeva che sotto Natale Sir Squonk faceva uscire il Post Sotto l’Albero (PSlA), una raccolta di post a tema natalizio di vari blogger. Qualche anno dopo Marco si mise a organizzare reading, e quindi accadeva di ritrovarsi in giro a leggere cose scritte, come le Schegge di Liberazione.
E quindi eccoci a Natale 2020, 10 anni dopo l’ultimo PSlA, Marco mi scrive chiedendomi se avevo voglia di leggere il mio PSlA del 2009 e mandargli una registrazione. E nonostante il mio odio verso la mia voce registrata, era impossibile dire di no.
A Natale quest’anno su Radio Sverso (grazie Benty) va in onda il Post Sotto la Radio. Venerdì 25 dicembre alle 18, e sabato 26 dicembrealle 11 in replica su Radio Sverso tornano i Post Sotto l’Albero, i blogger, lo Spirito del 2010. Qua Marco spiega tutto per bene.
Buon Natale! E che il 2021 possa essere un anno con più reading, più concerti, più persone vicine.
Domenica sera sono andato a vedere Ready Player One (andatelo a vedere e leggete il libro!), nel film James Halliday, il “genio” informatico che ha inventato la piattaforma Oasis dove l’umanità si è riversata in massa per scappare dal logorio della vita iper-moderna, ha tenuto un dettagliato diario della sua vita che ha reso disponibile alla sua morte come indizio per risolvere la caccia al tesoro al centro del film.
Se in passato questo blog è stato anche un diario personale, un diario pubblico, oggi mi rendo conto che mi viene più difficile usarlo così, anche per questo motivo negli ultimi anni ho iniziato a tenere un diario personale privato come pratica più o meno giornaliera. Per come la pratico io adesso, è una scrittura privata, con pochi fronzoli e buttata là come mi viene al momento. Brevi appunti giornalieri e poi magari pagine più lunghe di tanto in tanto quando c’è qualcosa che mi ronza in testa da provare a rendere più chiaro. Mi è capitato di sponsorizzare tanto con amici e conoscenti la pratica del diario come forma di riflessione, di auto-coscienza, un (ri)costruire il sé.
Ieri mi è capitato di veder passare un tweet con un link a questo post dal titolo “The art of the diary” dove oltre a provare a discutere lo scopo di un diario. Ci sono esperienze come quella presentata nel post del Great Diary Project in Inghilterra o come il meraviglioso Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (AR) con il suo museo che mi piacerebbe proprio visitare, che cercano di raccogliere questi frammenti personali, vecchi diari che messi insieme possono ricostruire non solo un sé individuali, ma anche un’identità collettiva. Non lo so se i miei noiosi diari saranno mai letti da qualcuno oltre a me, se finiranno al macero, o se saranno la base di una caccia al tesoro miliardaria, intanto continuo a scrivere, anche solo per ricordarmi di quella giornata di sole e di quel bacio dato, di quella canzone che mi era entrata in testa e della rabbia di quella volta.
Tutto questo per dire che ancora non lo so cosa vi racconterò qua sopra, ma che intanto pure voi dovreste iniziare a scrivere qualcosa.
Un reperto di un’altra era: Smoccolo, il mio nano che per anni è stato l’header di questo blog.
Faccio mio l’appello della Signorina Lave per il ritorno dei blog personali. Quei posti dove un tempo le persone perdevano 5 minuti per raccontare un pezzo di sé, storie, vite. Poi ci siamo presi troppo sul serio, sono arrivati i social, i 140 caratteri, l’immediatezza e i giardini murati costruiti da Zuckerberg e gli altri. Niente di male sia chiaro, mi diverto un sacco da anni tra la decina di social network che frequento, però il primo amore non si può scordare.
Nel 2004 avevo 18 anni non ancora compiuti, in 14 anni questo blog è cresciuto con me, mi ha accompagnato in città diverse, in scelte difficili, in speranze e sogni. Da qua ho conosciuto un sacco di persone, ho fatto amicizia, ho viaggiato e trovato cose belle per lo più. All’inizio, nel 2004 era su Splinder (mancarone pure 6 anni dopo la chiusura), come tanti altri in Italia in quegli anni. Dopo qualche anno si trasferisce in un posto tutto suo, e l’anno scorso arriva qua, a un indirizzo che dice tutto.
Lo ammetto, sono stato pigro, nel corso degli ultimi anni ci sono state molte volte in cui mi sono detto:_”su questo ci scrivo un post!”_, poi finiva che invece no. Avevo già pronto un primo numero di una possibile newsletter, ma non l’ho mai aperta, mi sembrava di tradire un po’ questo posto qua. E voi miei venticinque (magari) lettori direte “eh ma chi ce lo dice che non ci deludi di nuovo, scrivi un post l’anno per non sentirti in colpa e stop?”. Grazie della domanda, purtroppo non vi posso assicurare niente, ma forse è il momento giusto per togliere le ragnatele dal template, dare una rinfrescata alla colonna di destra, riaprire i commenti (che poi i commenti su un blog ormai solo i nostalgici).
Se ci conosciamo già, sapete cosa potete aspettarvi, se capitate qua per la prima volta benvenuti 🙂
Era il 6 giugno del 2004 quando ho scritto il mio primo post su Splinder, non avevo ancora 18 anni, e avevo scoperto "quel sito dove ci puoi scrivere, tipo un diario" per caso in un noioso giorno di scuola di fine anno, su imbeccata di un amico (ciao Antonio!). Sono passati quasi 8 anni da quel giorno, ho sempre un blog, ci scrivo molto meno raccontando cose diverse da allora (e con una punteggiatura molto migliore), ho conosciuto molte persone belle, scambiato commenti e idee, fatto progetti più o meno riusciti. Sono cresciuto da allora, mi sono diplomato, ho cambiato strada, preso una laurea, quasi due, scrivo con una migliore punteggiatura. Un po' mi vergogno di quello che scrivevo lì (e anche di quello che scrivo qua, ma non conta), però sono molto dispiaciuto che oggi tutti quei post e quei commenti, il template con il blogroll pieno di ricordi, spariscano come lacrime nella pioggia; certo, ho salvato tutto, esportato e importato da altre parti, ma non è la stessa cosa. Ciao Splinder, è stato bello.
E' obbligo che scriva due righe per raccontare la due giorni parmense (o parmigiana? no, parmigiana è quella di melanzane).
Come primo atto devo fare i complimenti a Fran e a Davide per l'organizzazione più che perfetta, son stati bravi a contrattare anche due giornate di sole (seppur la temperatura non era proprio estiva, però le mediazioni alle volte sono necessarie).
Ci sono stati molti interventi che ho trovato interessanti, menzione speciale va all'intervento di elena sulla cooperazione, purtroppo poco capito, perchè ritengo il movimento cooperativo molto 2.0 e la diffusione dei principi che stanno alla base non può che fare bene.
Il più atteso di tutti è stato sicuramente Paul, tutti a scrutare ogni faccia più o meno sconosciuta provando ad immaginarlo e lui cosa fa? Fa apparire i biglietti sul lavandino del bagno. Genio.
I vigili di Parma sembrano sceriffi del farwest, ma i controllori sugli autobus sono i più pignoli che abbia mai visto, ma non mi hanno beccato lo stesso senza biglietto (non mi avrete mai! [qui ci andrebbe una risata malefica tipo cattivo dei film]).
Un grazie davvero a tutti, quelli conosciuti e quelli che ancora devo conoscere, èstatounpiacererivedervieconoscervi dal vivo (avrò dimenticato sicuramente qualche link, non me ne vogliate male).