Categoria: trentismi

  • La scatola

    La scatola

    La scatola dei ricordi è quella scatola che di norma sta chiusa in qualche posto lontano, in un ripiano nascosto, dentro un armadio chiuso, ma che spunta fuori quando pulisci, quando decidi di riordinare, quando traslochi.

    Dentro ci sono in media, non una, non due, ma diciamo almeno tre vite passate. E spuntano fuori degli oggetti apparentemente inutili: una forchetta di plastica trasparente di un picnic di 10 fa, biglietti scritti fitti, cartoline, fototessere, polaroid, disegni, braccialetti rotti, fiori secchi, sassi, articoli di giornale ritagliati, biglietti di concerti, di mostre, di autobus, treni, aerei, traghetti.

    La scatola è piena, per chiuderla devo spingere il coperchio forte e usare del nastro adesivo. Adesso la metto qua, accanto ai quadri che ho staccato dal muro, vicino ai libri e ai vestiti da mettere da qualche parte per poterli portare via. Le faccio prendere un po’ d’aria prima di spostarla in un altro armadio, in un’altra casa, in un’altra città; prima di riempirne altre e di riaprirle quando pulirò, riordinerò o traslocherò, alla faccia di Marie Kondo.

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  • Non si sa dove si va, ma ci si va*

    *Luciano Bianciardi

    Tanto queste cose servono solo a poter avere foto ridicole da condividere, no?

    Martedì ho archiviato questi ultimi cinque anni di vita. Devo ammettere che iniziavano a pesare; erano un bel carico, di quelli che poi magari ti ci abitui pure, ma come ti togli il peso dalla schiena ti sembra di volare. 

    Li ho impacchettati bene in 135 pagine, li ho chiusi con 30 slide, trasportati in mezz’ora di presentazione, c’è stato bisogno di discuterne un po’ per capire se davvero fossi convinto a lasciarli lì. Mi hanno fatto indossare una toga e un buffo cappello per salutarli e poter andare avanti. Quei riti che dicono prima era lì, adesso sei di qua, benvenuto!

    E adesso? E adesso non si sa dove si va, ma ci si va; che tanto ora sono leggerissimo e si può andar lontano senza preoccuparsi troppo. 

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  • Carta velina

    – È un regalo o è per lei?

    – No, è per me. 

    – Sa, è per sapere che confezione fare. 

     

    La signora indossa uno spolverino sopra gli abiti, sul taschino appuntata una targhetta di plastica con sopra inciso il nome del negozio. Lei è piccola, con la schiena curva e i capelli bianchi a caschetto, avrà più di settant’anni e nei modi mi ricorda mia nonna. Prende un foglio di carta velina, copre il prezzo con un adesivo e con un gesto preciso e veloce incarta il libro. Vengo qua per questo gesto, per quel foglio di carta velina con cui ogni libro esce dal suo negozio, per quello spolverino e quella targhetta. 

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  • Dormi sepolto in un campo di grano

    cimitero
    Così come vi siete fronteggiati in vita, gli uni di fronte agli altri, nelle trincee, sulle montagne, al freddo, in mezzo alle neve e al fango, circondati da filo spinato e paura, adesso anche da morti siete di nuovo gli uni di fronte agli altri.
    Non più trincee e filo spinato, ma un viale alberato a separarvi. I vinti, con un monumento e una semplice iscrizione e i vincitori dall’altro lato ricordati con i nomi, un mausoleo, tutti gli onori e il pieno di retorica.
    Io che non ho fatto il militare, che ho paura di qualsiasi arma, e che non riesco neanche a immaginare cosa vuol dire essere in guerra, continuo a chiedermi perché non potete stare insieme in pace, almeno da morti.

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  • 3 anni dopo

    windows

    Chi l’avrebbe immaginato che 3 anni dopo sarei stato ancora qua: con un’altra prospettiva, un panorama differente, tante cose belle, una camera più grande, qualche ansia da superare, una connessione internet nuova fiammante (finalmente), l’attesa per un altro primo giorno di scuola.

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  • Ora viene il bello

    wordle tesi

    Ho discusso oggi la mia tesi, in mezz’ora il risultato degli ultimi mesi. Tra quindici giorni con la mia proclamazione si chiuderà definitivamente la mia carriera da studente, si chiuderanno questi due anni e mezzo a Trento.

    Intanto, inizio a festeggiare.

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  • Anche i treni premono snooze

    O anche cronaca di un ritardo ferroviario di cui ero solo spettatore.

    Ore 05:00 – Il treno regionale 2251 di trenitalia doveva partire da Bolzano, io secondo la mia tabella di marcia dovevo essere già sveglio da un po' e pronto a uscire dopo pochi minuti per accompagnare Valentina in stazione.

    Ore 05:11 – Non mi ricordo mai dello specchio nell'ascensore, che nella maggior parte dei giorni è pure il primo specchio in cui mi guardo la mattina, non vorrei mai farlo, figuriamoci a quest'ora. 2251 sarà arrivato in orario ad Ora?

    Ore 05:38 – da orario 2251 doveva fare il suo trionfale ingresso al binario 2 della stazione di Trento e accogliere la mia bella che tornava a casa. In realtà lui non era ancora partito, penso un problema con la sveglia del macchinista, noi stavamo bestemmiando contro la coda alle macchinette prima di accorgerci sul tabellone di un ritardo segnalato di 40'.

    Ore 06:05 – L'immaginario 2251 avrebbe dovuto essere ad Ala, il reale 2251 ancora non è partito da Bolzano, il ritardo aumenta, la fame pure, fortuna che il bar della stazione è aperto, ancora poca gente, quei pochi però dovevano andare a Bologna con 2251. C'è una barista che non avevo mai incontrato e fa il cappuccino molto meglio delle sue colleghe, i cornetti sono sempre quelli surgelati e riscaldati. A stomaco pieno si aspetta meglio.

    Ore 06:26 – 2251 non è a Domegliara come avrebbe dovuto, è ancora fermo a Bolzano. Il ritardo è di un'ora, consiglio a Valentina di arrivare a Verona con il regionale che parte tra 5 minuti, che male che vada aspetta un'ora la coincidenza per Bologna, se invece 2251 parte lo ritrova a Verona. 

    Ore 07:08 – Isola della Scala è ancora lontana, però 2251 è arrivato a Trento e riparte sotto i miei occhi che lo aspettavano sul binario 2. Con il giornale sottobraccio esco dalla stazione, mi sembra più freddo di prima, apro Prontotreno e guardo se 2251 recupera terreno.

    Ore 07:22 – Il ritardatario 2251 è a Rovereto, io in Piazza Duomo, al freddo cammino verso la mia seconda colazione. 

    Ore 07:33 – Quando sono entrato al bar ho chiesto un tè caldo, alla richiesta della barista di scegliere quale volessi ho risposto "uno qualsiasi, basta che sia molto, molto, caldo". Dieci minuti dopo ho ripreso sensibilità alle mani, 2251 è arrivato ad Ala, e Repubblica non mi ha messo di buon umore. 

    Ore 07:53 – Ve l'ho mai raccontata questa cosa che a Trento nei bar quando ordini il caffè ti chiedono se lo vuoi "liscio"? No, ecco, allora ricordatelo, non fate come il signore, probabilmente bangladese o del sud-est asiatico che è rimasto 5 minuti a fissare la barista senza sapere cosa rispondere. 2251 è arrivato a Domegliara, Valentina a Verona e io sono di nuovo in strada. 

    08:08 – 2251 arriva a Verona, io a casa, giusto in tempo per un caffè. Quel pigrone sta fermo sempre 12 minuti a Verona, anche quando è in ritardo, io giuro che in quei 12 minuti ho solo riposato gli occhi.

    08:59 – Poggio Rusco è in provincia di Mantova, io fino alle amministrative dello scorso anno credevo fosse in provincia di Bologna, non sono mai stato un fenomeno in geografia. 2251 ha 90' di ritardo, io sono in anticipo rispetto ai miei standard.

    09:53 – Ho pulito camera, mi sono fatto una doccia per scaldarmi, ho letto Affari&Finanza, ho mangiato della cioccolata, ho grattato un gratta e vinci senza vincere. 2251 è arrivato a Bologna senza recuperare neanche un minuto di ritardo. Io l'ho seguito stazione per stazione, facendo il tifo per lui.
    Lo immaginavo sbuffante iniziare malissimo una nuova settimana, come la maggioranza delle persone che il lunedì mattina sognano solamente di premere snooze e rimanere a dormire "solo altri 5 minuti, poi mi alzo, giuro".

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  • Just one year

    Quasi un anno dopo è riapparso il violinista di strada, ha lo stesso violino sgangherato, ma gli occhiali mi sono sembrati nuovi.
    Per mesi non si era più visto, avevo pensato a un trasloco in un luogo più piacevole e meno freddo, che sta arrivando l'inverno, la mattina non si vedono le montagne e suonare il violino con le dita congelate non deve essere piacevole.

    Sono stato felice di vederlo stasera, gli ho sorriso solamente, che di spicci non ne avevo. 

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  • baby we’ll never go back

    Il cappuccio della giacca alzato per ripararmi dal vento, le cuffie nelle orecchie, qualche goccia di pioggia e un freddo pungente.
    Quel maledetto semaforo pedonale è rosso, sempre, soprattutto la mattina quando sono in ritardo. Non ho mai capito come funzionino i tempi dei semafori: ci sono volte che è subito verde e altre che invece sembra non arrivi mai.
    Una ragazza con un cappello di lana di quelli con il pon-pon in cima e un cappotto marrone arriva trafelata, anche lei le cuffie nelle orecchie, tiene il tempo con il piede.
    Sbuffo, mi guardo intorno, macchine non ce ne sono e il semaforo è sempre rosso.
    Bruce canta di voler fuggire insieme a Wendy, perché i vagabondi sono nati per correre.
    Alzo lo sguardo incrociando quello della ragazza, le faccio un cenno come per dire "andiamo?" e attraverso la strada a passo spedito.
    Non mi sono voltato a guardare se mi aveva seguito, ma tanto come ho messo piede sul marciapiede dall'altro lato il semaforo è diventato verde e Bruce ha finito di cantare.

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  • still road

    La strada è sempre la stessa ogni mattina, da tre mesi a questa parte.
    Scendo le scale, giro a sinistra, di nuovo a sinistra e poi tutto dritto, tutto il viale fino in fondo e sono arrivato.
    A metà strada, ogni mattina, abbasso il volume dell'iPod e ascolto.
    E' sempre lì, metro più metro meno, col suo sgabello sghembo, gli occhiali attaccati insieme col fil di ferro e quel violino tutto scortecciato e malridotto, pochi capelli in testa e la barba bianca incolta che copra una faccia bruciata dal freddo di troppi inverni e dal sole di troppe estati.
    Suona sempre qualcosa di diverso o almeno a me sembra così, sempre melodie tristi e lo capisco, che non è il massimo dell'allegria: suonare un vecchio violino seduto al freddo dalla mattina presto, magari senza nemmeno un caffè nello stomaco.  
    Quando metto le monete nella custodia aperta davanti a lui, si ferma sempre un istante, il tempo di un sorriso veloce.
    E' qualche giorno che non lo vedo, quando torno magari è di nuovo al solito posto.

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